Kazakistan: cosa vedere e cosa fare, quando andare

All’improvviso, polvere e nitriti. Da dietro una montagna rocciosa, nella sconfinata steppa del Kazakistan, compare come dal nulla una mandria di cavalli selvaggi.

Galoppano senza morso e senza briglie, sfogando la loro potenza e voglia di libertà.

Vanno tutti nella stessa direzione, alzando una grande nube di terra in un caos di criniere al vento, zoccoli e muscoli guizzanti.

Ci sono stalloni che scalciano in segno di sfida contro gli altri maschi dominanti e giumente premurose al fianco dei loro puledri. Saranno almeno 300 esemplari.

Li governano solo due shopan, pastori. Uomini con gli occhi di ghiaccio e la pelle bruciata dal sole e dal vento, lo sguardo serio e impenetrabile: magari non sorrideranno, ma sono persone gentili e soprattutto rispettose.

Il loro compito sembra essere “soltanto” quello di chiudere la carovana. I cavalli sanno esattamente dove devono andare per trovare una pozza d’acqua in cui abbeverarsi o qualcosa di più appetitoso di qualche rado ciuffo d’erba ispida di cui nutrirsi.

cavalli selvaggi nella steppa nella regione di Almatycavalli selvaggi nella steppa nella regione di Almaty
Cavalli selvaggi nella steppa, nella regione di Almaty

Viaggio on the road alla scoperta del Kazakistan

Come in un film western

Si scopre presto che scene come questa sono comuni in molte aree del Kazakistan, dove i cavalli hanno tuttora un ruolo importante, rappresentano la base di economie, diete e tradizioni, in particolare nelle aree più remote del Paese.

Con un po’ di fortuna la strada che attraversa l’area del Parco nazionale di Charyn, nella regione di Almaty, la vecchia capitale (la nuova è Astana, nella steppa settentrionale), può trasformarsi in un set cinematografico. E regalare un’emozione degna di un vecchio capolavoro western.

Nella steppa kazaka

Questa è la terra in cui il cavallo fu addomesticato per la prima volta nella storia. Fu una vera rivoluzione. Secondo un articolo di Science, alcuni ricercatori hanno trovato le prove che già 5.500 anni fa la cultura Botai del Kazakistan allevava e sellava equini, bevendo anche il latte di giumenta: si consuma ancora, spesso sotto forma di una bevanda fermentata, sapida e leggermente alcolica, il koumiss.

In groppa a questo animale resistente, molto più versatile e veloce rispetto a cammelli e dromedari dei deserti, yak dell’Himalaya o lama delle Ande, i pastori-cavallerizzi che popolavano le terre oggi comunemente dette Kazakistan iniziarono a viaggiare. Si può dire che queste steppe aride siano state la culla della civiltà come la si conosce oggi: i nomadi a cavallo iniziarono a diffondere la cultura patriarcale e la protolingua indoeuropea – da cui derivarono le successive neolatine e germaniche, dal greco antico e moderno alle indo-iraniche – e a commerciare cibi e manufatti di ceramica, pelle e bronzo. Così il mondo via via cambiò.

pastore kazako in sellapastore kazako in sella
Un pastore kazako in sella all’inseparabile cavalcatura

Un Paese sconfinato

Il Kazakistan è il nono Paese più esteso del mondo, con i suoi 2,7 milioni di chilometri quadrati e solo 19 milioni di abitanti. Un angolo di Asia Centrale che confina con la Russia, il Turkmenistan, l’Uzbekistan (con cui condivide il lago d’Aral), il Kirghizistan e la Cina, bagnato a ovest dal Mar Caspio.

La sua collocazione lungo la Via della Seta ne ha fatto un crocevia di popoli e culture e la sede di diversi imperi. Da quello mongolo, guidato dal condottiero e sovrano Gengis Khan, a quello russo del XVI secolo, fino ad arrivare all’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. Lì è cominciata la rinascita del Paese, a lungo sfruttato come centro delle missioni spaziali sovietiche (con il cosmodromo di Baikonur) e poligono nucleare nella zona di Semipalatinsk. Una specie di magazzino dell’arsenale atomico di Mosca e un pozzo da cui attingere ingenti ricchezze minerarie ed energetiche, in particolare gas e petrolio.

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Cammelli in libertà nella steppa

Una destinazione ancora sconosciuta

Nel trentennio successivo alla nascita della Repubblica indipendente, oltre al forte legame mantenuto con la Russia, il Kazakistan ha stretto relazioni internazionali con vari Paesi – dagli Stati Uniti alla Cina, all’Unione europea, tra cui l’Italia – e oggi guarda al turismo come a una risorsa strategica.

“Lavoriamo da tre anni per creare una destinazione in grado di offrire gli standard di ospitalità e sicurezza necessari per accogliere i turisti italiani”, spiega Marco Beretta, presidente dell’Associazione per il commercio italo-kazako, alla guida anche di Tomiris Tour, tour operator al cento per cento kazako con guide e partner locali selezionati.

“Collaboriamo con il governo per valorizzare la cultura e le bellezze del Paese, per creare occupazione locale e costruire un settore forte, in modo che l’economia della nazione non poggi solamente sul settore energetico e minerario”.

Ad avvicinare l’Italia al Kazakistan è anche il volo diretto della compagnia aerea Neos di Alpitour World, che traccia il primo collegamento da Milano Malpensa ad Almaty. Il passo successivo sarà il Tourism Tour 2025: “A bordo di un truck che si aprirà come una yurta viaggeremo per quattro mesi come ‘nomadi moderni’, fermandoci a raccontare il Kazakistan in 30 città d’Italia”, conclude Beretta.

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Yurte del Kogez Ethnic Village, nei pressi di Sherkala, nel Mangystau

Esperienza nomade

Lande aride e solitarie, praticamente improduttive. Canyon che tratteggiano paesaggi marziani. Scogliere calcaree di un bianco abbacinante, deserti di sale e argilla contrapposti a laghi cristallini. E, ovunque, grandi silenzi negli spazi sterminati e senza tempo che si ripetono uguali a sé stessi per ore. Una sensazione di vuoto intorno che emana una potente energia, combinazione perfetta tra la bellezza naturale e la purezza di questi luoghi.

Un viaggio non basta per scoprire la complessità del Kazakistan. Un mondo lontano e affascinante, in buona parte ancora inesplorato e autentico. Qualsiasi sia l’itinerario, ogni tappa, ogni giornata, ogni singolo momento diventano un viaggio nel viaggio. Un tour per chi non teme la polvere, il caldo e il freddo. Per chi è disposto a sopportare la fatica di macinare chilometri e chilometri su strade dissestate pur di immergersi nel luogo assorbendone la forza.

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foresta sommersa di abeti rossi asiatici spunta dalle acque lattiginose del lago Kaindyforesta sommersa di abeti rossi asiatici spunta dalle acque lattiginose del lago Kaindy
La foresta sommersa di abeti rossi asiatici spunta dalle acque lattiginose del lago Kaindy

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Almaty e la regione dei laghi

Si deve raggiungere l’area dei monti Alatau per avvistare coltivazioni di mela Aport. Anche in città non si trovano elementi che celebrano questo frutto dalla buccia di colore giallo-verde con sfumature rosso scure. Eppure, Almaty in kazako significa proprio “il posto con le mele”.

24 ore nella ex capitale

Nell’ex capitale ci si ferma poco più di 24 ore, giusto per una passeggiata nel Parco Panfilov, che ospita la cattedrale ortodossa dell’Ascensione (o di Zenkov), un edificio quasi interamente in legno, alto 56 metri. Ma anche per visitare il Museo statale, la Moschea centrale e per respirare la boccata d’aria cosmopolita che arriva dai centri commerciali, i caffè in stile occidentale, i ristoranti e i locali trendy sparsi in città.

Nel cuore del Parco nazionale di Kolsai

Il giorno dopo si parte all’alba. L’auto corre a sud-est sfiorando la linea di confine con il Kirghizistan. Alle porte del villaggio di Saty, a circa 300 chilometri da Almaty, nel cuore del Parco nazionale di Kolsai, un lato dell’omonimo lago è percorso da una passerella in legno che permette di camminare a sfioro dell’acqua. Sull’altro, un sentiero di circa 13 chilometri si snoda nel bosco.

Il lago Kaindy

Surreale, quasi quanto il modo per arrivarci, è il vicino lago Kaindy. Dal bacino d’acqua lattiginosa formatosi per effetto di una frana nel 1911 spunta una foresta di abeti rossi asiatici dai tronchi completamente spogli, mentre sotto la superficie crescono rigogliose le fronde.

Il solo mezzo in grado di affrontare i primi 15 chilometri del percorso che porta a questa foresta sottosopra, molto accidentati, è un fuoristrada sovietico nato per l’esercito, oggi in uso alle guardie forestali. La seconda parte, invece, è un saliscendi che si può fare a piedi o in sella a un cavallo portato da un pastore kazako.

Il pranzo nel ristorante Aisha è a base di chechevichniy soup (zuppa di lenticchie), spiedini di carne di manzo, riso e verdure fermentate. Tutto opera di Karlygash Suleyeva, la chef che ogni giorno impasta a mano grandi pagnotte e frigge abbondanti porzioni di chak-chak, frittelle condite con uno sciroppo a base d’acqua, miele e zucchero. “Ho cominciato come aiuto-chef, ora sono la responsabile della cucina, ma sogno di aprire un giorno un ristorante tutto mio”, dice timidamente Suleyeva.

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Gli otto alloggi dell’eco-bungalow Charyn Canyon Resort, nell’omonimo parco naturale

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Il canyon di Charyn

Di nuovo in viaggio, si fa rotta ancora più a est. Il verde della zona dei laghi lascia il posto al rosso del canyon di Charyn, monumentale complesso di rocce scolpite in forme bizzarre risalenti a più di 12 milioni di anni fa. Il letto prosciugato del fiume è lungo 154 chilometri e profondo cento metri, immerso nell’omonimo Parco nazionale istituito nel 2004.

Un habitat popolato da 70 specie animali, dai falchi reali alle aquile, ai gatti selvatici. Il punto più scenografico è la valle dei Castelli, dove le rocce sembrano torri e fortezze. Dopo la giornata on the road, ospitalità e ristoro si trovano nel centro visite alle porte del canyon. Ci sono un ufficio informazioni e un punto vendita, un ristorante in stile contemporaneo e degli eco-bungalow con terrazza, per serate nel silenzio sotto un cielo stellato.

valle di Boszhira nel deserto del Mangystavalle di Boszhira nel deserto del Mangysta
Nella valle di Boszhira, autentico gioiello del deserto del Mangystau, le monumentali formazioni rocciose emergono da quello che in ere remote era il fondo dell’oceano Tetide

Mangystau, quasi un altro pianeta

Dalla città di Aktau al deserto di sale

La seconda parte del viaggio va in scena nel Kazakistan sud-occidentale. Si riparte da Aktau, città a est del Mar Caspio, porta di accesso alla penisola del Mangystau. Un mondo ultraterreno fatto di deserti di argilla e scogliere calcaree, laghi salati e fossili di specie ormai estinte. Spazi sterminati, dominati da grandi silenzi e pochissime persone.

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donna kazaka accanto ai suoi cammellidonna kazaka accanto ai suoi cammelli
Zhenisgul Nurbussinova accanto ai suoi cammelli, che munge ogni giorno

Anche qui i cavalli pascolano allo stato brado, in piccoli gruppi di un solo stallone e qualche giumenta. Ma quando la terra si fa arida i cammelli diventano protagonisti. Fungono da mezzi di trasporto, forniscono carne, lana e latte. “Li mungo personalmente ogni giorno”, spiega Zhenisgul Nurbussinova, che ha indossato il suo abito migliore per farsi fotografare accanto ai suoi animali. “Consumiamo una parte del latte in famiglia, i miei quattro figli sono cresciuti bevendolo, il resto lo uso per preparare dolci e piatti tipici che vendo per strada o nel villaggio”.

Uno su tutti, il kurt, palline di formaggio secco a base di latte fermentato e sale: un pasto saporito e molto nutriente che i nomadi portavano con sé durante i loro lunghi viaggi.

driver di fuoristrada nel Mangystaudriver di fuoristrada nel Mangystau
Asylbek Zhangakbayer (a sinistra) e Aidyn Restoaurent, driver di fuoristrada nel Mangystau.

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In jeep 4×4 sul fondale del Tetide

Nelle terre che raccontano la storia del remoto oceano Tetide si entra solo in jeep 4×4, accompagnati da guide autorizzate. Si dorme in campi tendati perfettamente allestiti e nelle tipiche yurte. “Uno degli aspetti più complessi è l’organizzazione della logistica”, spiega il driver Asylbek Zhangakbayer, 38 anni, ingegnere, nato in queste lande remote. “Bisogna pensare a tutto, dal cibo da consumare mentre si sarà lontani da ogni villaggio all’acqua, dal carburante alle tende, che devono resistere al vento e alla polvere, qui costanti”.

La geografia di questi luoghi cambia continuamente, la pioggia cancella le strade e trasforma il tracciato in sabbie mobili. Occorre allora avere i riflessi pronti per non rimanere con le ruote bloccate nel terreno colloso, oltre a un senso dell’orientamento infallibile per raggiungere la meta. Ed è lì che scatta la meraviglia.

formazioni di calcare nel fondale prosciugato del lago salato di Tuzbair nel deserto del Mangystauformazioni di calcare nel fondale prosciugato del lago salato di Tuzbair nel deserto del Mangystau
Sembrano mangrovie giganti o radici di enormi baobab; in realtà sono formazioni di calcare modellate dal tempo: svettano dal fondale prosciugato del lago salato di Tuzbair, nel cuore del Mangystau

Tra pietre sferiche e giganti leoni di roccia

Per esempio nella valle delle Sfere o Torish Valley, di fronte alle centinaia di gigantesche palle di pietra rotolate da chissà dove in un’altra era geologica. O percorrendo il fondale prosciugato del lago di Tuzbair, a circa 60 metri sotto il livello del mare, dove cercare forme bizzarre e insolite nascoste tra le venature di scogliere alte di calcare. Con un po’ di immaginazione si possono vedere Titani e Ciclopi, anfiteatri greci e colonne di templi classici, e poi enormi mangrovie e radici giganti di baobab.

Il monte Sherkala, simbolo del Mangystau, viene invece descritto dai kazaki come una yurta o un leone accovacciato. Il sito di Kyzylkup stupisce per la roccia friabile e mutevole, percorsa da striature nette di vari colori (bianco, giallo, rosa, marrone), che lo fanno somigliare a un enorme tiramisù: e così infatti è soprannominato.

Maestosa, poi, è la valle di Boszhira, ribattezzata la Monument Valley dell’Asia Centrale. Mentre su un fianco della montagna di Ungazy il tempo sembra fermarsi nella moschea Shakpak Ata, cavità scavata nella roccia di gesso tra il X e il XIII secolo e ancora oggi usata come luogo di preghiera da pastori e viandanti. Le pareti esterne sono bucherellate da millenni di esposizione al vento e alla pioggia, i muri all’interno sono decorati con i versetti del Corano, ci sono colonne, nicchie e un varco nel soffitto da cui si dice passino le suppliche dei fedeli per arrivare in cielo.

Intanto, il sole cala sul Mangystau. È tempo di trovare un posto riparato per allestire il campo tendato. Ed è solo l’inizio di un’altra avventura, di uno spettacolo che continua davanti al tramonto e a una tavola conviviale. Aspettando che le stelle illuminino un cielo immenso, che via via si fa sempre più scuro.

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Curiosità e cose da sapere sul Kazakistan

Cavalli (quasi) selvaggi. Un articolo recentemente pubblicato sul Guardian racconta che sette esemplari di cavalli Przewalski, specie un tempo diffusa nelle steppe dell’Asia, dove si ritiene che siano stati addomesticati cinquemila anni fa, sono finalmente tornati in Kazakistan, nella loro terre d’origine, dopo un’assenza di circa due secoli. Sono sei cavalle e uno stallone ed erano cresciuti in cattività negli zoo di Monaco e di Praga.

Una capitale nuova. La popolazione kazaka è concentrata principalmente nelle grandi città di Almaty, Turkistan e nella capitale Astana, la Brasilia delle steppe. Era un gulag in una zona per test nucleari, ma il presidente Nazarbayev l’ha trasformata in un centro con grattacieli moderni, architetture di vetro e metallo, hotel lussuosi e la moschea più grande dell’Asia centrale, Khazret Sultan. Un contrasto totale rispetto ai nomadi, che vivono ancora secondo le antiche tradizioni. Mentre al confine con l’Uzbekistan e il Turkmenistan, il Mangystau, che per i suoi colori viene chiamato il deserto dipinto, ha la densità abitativa più bassa del Paese.

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L’oro di astana. La principale ricchezza sono le risorse fossili e minerarie. Il Kazakistan è il secondo produttore di petrolio all’interno della Comunità degli Stati indipendenti, che raggruppa nove ex repubbliche sovietiche: le risorse accertate ammontano a 16 miliardi di barili, quelle stimate (fonte Treccani) superano gli 80 miliardi. Il Paese è ricco anche di gas naturale ed è tra i primi produttori al mondo di bauxite, manganese, carbone, tungsteno, titanio, cadmio e argento. Ingente pure la produzione di uranio.

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