“Uomini, cavalli e cammelli inciampano con costante regolarità nelle tende con molti paletti e corde a raggiera”. Un tipo di accampamento da evitare secondo L’arte di viaggiare, manuale della Royal Geographic Society per esploratori inglesi dell’800 (edizioni Ibis, 2007). Raccomandazione che oggi fa sorridere, visto che, anche nei luoghi di avventura e grande natura, i campi tendati sono chic come un albergo di lusso. Il comfort fa piacere ed è un plus di ogni itinerario. Ma ci sono posti che richiedono vere spedizioni…
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Viaggio nella bellezza in Oman
Traversata del deserto Rub al-Khali
Ci sono posti dove si torna a viaggiare in modo primitivo, senza fronzoli, nelle ultime frontiere selvagge e incontaminate del mondo. Dove la potenza di bellezza, silenzio, immensità del creato, compensano la mancanza di letti a baldacchino.
Lo è una traversata del Rub al-Khali, il deserto sabbioso più vasto del mondo dopo il Sahara, chiamato anche The Empty Quarter, “il quarto vuoto”, che occupa un terzo della penisola arabica, dall’Oman allo Yemen e all’Arabia Saudita, per un totale di 650 mila chilometri quadrati.
Vuoto, perché con l’avanzare della desertificazione nei millenni e nei secoli, qui non vive più nessuno. Tranne beduini che portano a pascolare i cammelli tra rare acacie, le cornulache, chiamate cespugli di sale, e i fiori bianchi del Calligonum, una pianta che cresce accanto alle dune. Dune colossali che qui possono innalzarsi fino a 300 metri sfidando, se si vuole fare un paragone, in altezza la Tour Eiffel (330 metri).
Viaggio in fuoristrada
Dove ha attraversato per quattro giorni (ma le spedizioni possono durare anche una settimana) il lato omanita di questo vuoto maestoso, partendo da Salalah, sull’Oceano Indiano, in un circuito che dal Rub al-Khali poi ritorna al mare.
Accompagnati di Piero Rossi, 30 anni di esperienze fra i deserti africani e mediorientali, che ama l’Empty Quarter in quanto “ti fa vivere come in un documentario”. Nessun cammello inciampa fra le tende perché ci si muove in fuoristrada. E le tende sono semplici, ma con tavolino, un vero letto.
Come da manuale della Geographical Society: “Una tenda… dovrebbe consentire a un uomo di sedere a un tavolo, fare e disfare i bagagli e stare in piedi al centro”.
Vocazione deserto: la guida esperta
Marocco, Mauritania, Sudan, Libia, Niger e Algeria: 30 anni di viaggi, esperienze, avventure nei deserti africani e nelle distese dell’Arabia. Poi nel 2006 ha scelto di vivere in Oman, per “la bellezza della natura, e la ricchezza di tradizioni”.
Piero Rossi (nella foto) ha creato Al Koor Tourism, ora diventata la Casa della Kel 12 a Muscat, e organizza ogni tipo di viaggio. Ma il suo cuore resta nel deserto, ed è felice quando sale su un fuoristrada per sfidare le dune del Rub al-Khali. Emozioni pure.
Un salto nel vuoto
Dall’Italia si vola su Muscat, la capitale, e si prosegue con un altro aereo per Salalah. Qui si va al mercato per fare provviste, poi via su un rettilineo asfaltato fino a Muqshin, ai confini con l’Arabia Saudita e ai margini dell’Empty Quarter, per fare benzina. E sgonfiare le gomme in vista della sabbia: l’asfalto finisce a Marsawad.
Inizia il deserto: sabbia gialla, piante scheletriche, alberi verdi. Si raccolgono legnetti per il fuoco, che sarà insieme la cucina e il “salotto” del campo, dove perdersi, ogni sera, in chiacchiere sotto un cielo che pulsa di stelle.
Dune, emozioni e sorprese nel deserto dell’Oman
Primo incontro con le dune barcane, a forma di ferro di cavallo, belle e insidiose perché la sabbia è molle e mutano in continuazione con il soffiare del vento. Sono gialle, poi al tramonto virano dall’arancione al rosso.
Emozioni e sorprese: come i cespugli verdi dove i beduini talvolta depositano le arnie per fare il miele. Sul terreno si scorgono piccole pietre rosa: sono le selci che i nostri antenati usavano per farne frecce e coltelli. Già, perché questo deserto era abitato prima della Storia. Fino al II secolo d.C. qui passavano le carovane che trasportavano fino al mare il prezioso incenso della penisola arabica e del Dhofar omanita (il migliore), per scambi commerciali con l’Asia e il Mediterraneo.
Sono indimenticabili le serate intorno al fuoco, nel silenzio assoluto, ma anche le partenze all’esordire del mattino dai colori perlacei. Si guida ogni giorno tra dune che si fanno sempre più grandiose; regalano salite di sfida, adrenaliniche discese in 4×4, gimcane sulle creste. Ma anche passeggiate solitarie nell’ora magica, quando le montagne di sabbia profilano tramonti multicolor.
Sulle tracce dei grandi esploratori
Le dune giganti sono chiamate stellari, con creste sabbiose che si sviluppano in tutte le direzioni secondo la rotta del vento. Altissime, spettacolari, sinuose, intervallate da spianate bianche, resti di antichi fondi marini. E qui la cinepresa del “documentario” deve attardarsi sulle pagine di Sabbie Arabe di Wilfred Thesiger (1910-2003), esploratore britannico e medaglia d’oro della Royal Geographic Society. Fu il secondo, avventuroso pioniere, a inoltrarsi tra il 1946 e il 1950 nel Rub al-Khali, che si pensava impenetrabile fino alla spedizione (1931) del diplomatico e viaggiatore inglese Bertam Thomas.
Scriveva Thesiger: “Smuovi la superficie della sabbia e la tonalità chiara sottostante viene rivelata. Questa mescolanza di due colori conferisce profondità alle sabbie: oro con argento, arancione con crema, rosso mattone con bianco, marrone bruciato con rosa…”.
Altre sorprese del deserto: dopo un canalone dal fondo duro si raggiunge la prima vera oasi dove il verde è alimentato da rigagnoli che sgorgano dal sottosuolo: acqua sulfurea. C’è anche un lago dove si specchiano le dune. E si fa la prima vera doccia: l’acqua zampilla da un tubo, ma è un’esperienza improbabile quella di bagnarsi con getti termali in pieno deserto.
Ultima emozione nell’ultima notte, accamparsi in cima a una duna altissima. Per risvegliarsi con la convinzione di aver sfiorato il cielo e l’infinito.
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Dalle dune alla spiaggia
Il saluto spettacolare del deserto sabbioso sono ancora una volta le dune barcane. Poi si passa vicino a un nucleo militare, si imbocca una sterrata che attraversa per 200 chilometri un deserto di alture a cima piatta che profilano canyon. Dopo tre ore, ecco il mare.
La strada (asfaltata) costiera corre a strapiombo sopra le rocce del Jebel Al Qamar. Intorno c’è una brughiera, verde dopo i monsoni, quando gli omaniti vi fanno pascolare cammelli, persino mucche.
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Le spiagge di Fazayah e Salalah
Intervallo da Arcadia prima di raggiungere una delle più famose spiagge wild omanite, Fazayah, cinque chilometri di sabbia, monti, roccette, scogli nel mare azzurro, dai fondali promettenti per lo snorkeling.
È un preludio all’ozio balneare di Salalah, a 68 chilometri da Fazayah. Ma dal Rub al-Khali, per chi ama i luoghi del mito, c’è un’altra possibile rotta per Salalah deviando per Ubar, o Iram dei Pilastri, la città perduta.
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Iram dei Pilastri, la città perduta
Di questo importante centro carovaniero (3000 a.C. – 500 d.C.) per il commercio dell’incenso, menzionato dal Corano, persino da Le mille e una notte, se ne erano perdute le tracce. Si favoleggiava di un’Atlantide sprofondata nelle sabbie, alimentando leggende. Ma è stata la scienza a riscoprirla, nel 1992, quando l’archeologo americano di origine lettone Juris Zarins e l’esploratore Sir Ranulph Fiennes si avvalsero di un team della Nasa che, grazie alle immagini scattate dallo Space Shuttle, ne ritrovò tracce e rovine, un labirinto di edifici intorno a una fortezza.
Dhofar, nella terra dell’incenso
D’altronde si sta per entrare nel Dhofar, la terra dell’incenso, patrimonio Unesco in omaggio all’epopea dei convogli carovanieri che, dalla Penisola arabica, trasportavano queste perle di resina, chiamate lacrime di Allah, fino ai porti.
Merce pregiata destinata a scambi mercantili con il Mediterraneo, l’Asia, l’Africa. Prima dell’era odierna del gas e del petrolio, l’incenso, anzi il franchincenso locale (cioè puro, ricco) è stata una delle ricchezze dell’Oman, che ne produce ancora oggi circa settemila tonnellate all’anno.
Il Museum of Frankincense Land
Un’avventura da scoprire al Museum of Frankincense Land di Salalah, all’interno del Parco archeologico di Al Baleed, quanto resta dell’antico porto mercantile di Zafar, descritto da Marco Polo e da un altro celebre viaggiatore coevo dello scrittore veneziano, il marocchino Ibn Battuta.
Rovine suggestive, innervate da sentieri che si prolungano nei canneti, popolati da tanti fenicotteri, garzette e aironi. Di sera gli scavi sono chiusi al pubblico, ma dall’esterno se ne apprezza l’illuminazione magica.
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I volti di Salalah
Il parco archeologico confina con l’Al Baleed Resort by Anantara, il miglior albergo di Salalah, tra il mare, laguna, piantagione di cocco, con una lunga spiaggia, piscina infinity, stanze e ville, alcune con piscina privata. C’è una Spa scenografica, che naturalmente offre anche trattamenti al franchincenso. La cucina dei diversi ristoranti è un giro del mondo, dalle ricette arabe a quelle asiatiche, per concludere la serata alla jazz lounge.
Ayn Razat
Organizzano picnic alle cascate, alle sorgenti, perché Salalah è si un centro balneare in enorme crescita, con centri commerciali, ma è assediato dalla grande natura. Ci sono le ayn (sorgenti), meta di scampagnate per omaniti e turisti. Un posto dove l’acqua scorre sempre, senza aspettare i monsoni, è il giardino di Ayn Razat, con tanto di stagni e ninfee.
Wadi Darbat
Bisogna aspettare il Kharif, monsone di sud-est, per vedere nella massima potenza la cascata del Wadi Darbat, valle lussureggiante che crea un lago, da esplorare anche in barca. Una meta escursionistica, un posto da birdwatching, un’oasi ecologica dove vivono gli ultimi esemplari di leopardo arabo.
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Le rovine di Khor Rori
Sul mare, alla foce del Wadi Darbat sorgono le rovine di Khor Rori, altro porto del franchincenso. Il ritrovo degli ecoturisti è il Souly Lodge, appena fuori Salalah: bungalow con veranda in riva al mare, letti a baldacchino, intorno nessuna costruzione, solo natura. E tante attività, birdwatching, trekking in montagna, immersioni subacquee, itinerari a cavallo. Davvero una vacanza barefoot.
Da Muscat in barca verso il paradiso
Cosa vedere a Muscat
Da Salalah si vola su Muscat. Il passaggio nella capitale, città dalle grandi arterie in crescita, purtroppo è quasi sempre un mordi e fuggi. Limitato alla visita alla Grande Moschea, capolavoro dell’architettura islamica, alla Royal Opera House, altro gioiello, alla Corniche, a Muttrah e al suq della città vecchia, che vale come curiosità, non per lo shopping, spezie a parte.
La Corniche è le nove isole Daymanyat
Eppure a Muscat c’è molto da scoprire. Un esempio? Le marine della Corniche o Al Mouj, dove salpano le barche che in un’oretta approdano in paradiso.
Ossia alle Daymanyat, nove isolette, riserva naturale dal 1996 per la loro biodiversità marina, considerate uno dei migliori siti di immersione (e snorkeling) al mondo. Per i giardini di coralli, anche rari. Habitat di pesci angelo o palla, di murene, pesci scatola gialli o verde azzurro a pois. Di squali balena che molti indicano come la specie ittica più grande al mondo (possono raggiungere 12 metri). Non sono aggressivi verso l’uomo, perché si nutrono di plancton, che “assorbono” stando immobili in verticale.
Ma queste acque veramente azzurre, chiare fino alla trasparenza di un cristallo, sono l’eden delle tartarughe; tra luglio e ottobre ne arrivano 20 mila a deporre le uova. Nessuna meraviglia quando si nuota, letteralmente, fra le testuggini o quando le loro testoline punteggiano il mare.
L’isolotto di Al Kabeer
Soprattutto intorno ad Al Kabeer o Um As Sakan, isolotto dalle coste frastagliate. Le Daymanyat sono stupefacenti sopra e sotto il mare. Isolotti di rocce e insenature di sabbia candida, dove si attracca per picnic a bordo.
Arte e fotografia a Muscat
Muscat è anche un palcoscenico dell’arte e della fotografia contemporanee arabe, soprattutto omanite. Molti nomi importanti sono di donne.
Come Alia Al Farsi, che vanta mostre in 20 Paesi, dal Giappone (Tokyo) alla Svizzera (Ginevra), ed espone all’Alia Gallery, una delle più importanti del Paese per l’arte contemporanea. Si trova vicina al Visitor Center di Amouage, fabbrica di profumi lussuosissimi, creati con essenze naturali, franchincenso, mirra.
Tornando all’arte, c’è la storia della Sarah Gallery, spazio espositivo e negozio all’interno del Bait Al Zubair, museo etnografico, in cinque, splendidi edifici storici. Una galleria di arte e fotografia d’avanguardia, voluta dall’inglese Sarah White che ha lanciato artiste arabe importantissime. Come Maryam Al Zadjali, ex direttrice dell’Omani Society of Fine Arts, che pennella fantasie di colori. Un mondo da scoprire, in una giornata dedicata alle avanguardie, da concludere con un aperitivo (finalmente alcolico) sulla terrazza del Buddha Bar dell’Hotel W. Un’oasi di stile in un mondo progettato dalla natura.