Alla scoperta di Mauritius, oasi di tradizioni e cultura. Il viaggio potrebbe iniziare da Patyatann, una parola in creolo mauriziano che significa letteralmente: “Non era previsto”. Patyatann è un progetto di cinque musicisti trentenni: Sarasvati Mallac, Anthony Bouic, Kan Chan Kin, Cledy François e Stephan Paul.
La band fonde musica indiana, cinese, europea e africana, elementi che fanno parte dell’identità locale, e sperimenta diversi strumenti tradizionali che si possono trovare sull’isola, tra cui l’erhu, il bobre, il sanza, la tabla, il didgeridoo e naturalmente la ravanne, il tamburo di pelle di capra usato per il segà, danza tradizionale introdotta dagli schiavi africani durante il periodo coloniale francese.
I Patyatann cantano in creolo, francese, inglese, sanscrito o bhojpuri (lingua parlata in alcuni stati del centro-nord e dell’est dell’India). Sono la sintesi perfetta per spiegare Mauritius. La parola contaminazione è la chiave per comprendere quest’angolo di mondo, grande una volta e mezzo il comune di Roma.
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La storia di Mauritius
Un luogo dove storia, cultura e natura si abbracciano in un paradigma di sostenibilità e bellezza, un’ode all’armonia tra popoli e culture. L’isola, 2.040 chilometri quadrati di superficie, protetta dalla barriera corallina nell’Oceano Indiano, a est del Madagascar, parla oggi di convivenza e di pace. Ma ha un pesante passato di schiavismo e colonizzazione.
Snobbata dai portoghesi, fu toccata per la prima volta nel 1598 dagli olandesi, battezzata in onore del principe Maurits van Oranje, in un’epoca in cui la natura regnava sovrana, custode di creature come il pacifico dodo, ora perduto, simbolo perenne dell’isola.
Con il passare dei secoli, divenne un crocevia di potenze coloniali: nel 1715 l’isola vide i francesi e, nel 1810, passò di mano agli inglesi. La dominazione britannica ha lasciato a Mauritius la guida a sinistra, la lingua inglese (ufficiale) e la coltivazione di un ottimo tè.
Mauritius tradizioni e cultura: lingua e società nell’isola
Oggi la composizione etnica è un unicum: indo-mauriziani, creoli, sino-mauriziani, franco-mauriziani. Ogni gruppo porta con sé un frammento di storia, un pezzo del puzzle che costituisce il tessuto sociale.
La lingua danza al ritmo del creolo-francese, del bhojpuri e del francese, e ovviamente dell’inglese (meno utilizzato). Ma si possono sentir parlare anche dialetti cinesi. Questo mélange linguistico è una sinfonia di voci diverse, ma armoniche.
E così pure il caleidoscopio di fedi: mentre ci si aggira tra le strade dell’isola, si scopre un mosaico di luoghi sacri a breve distanza l’uno dall’altro: chiese cattoliche, moschee, templi indu. A Cap Malheureux, in una chiesetta dal tetto rosso, ogni domenica mattina si celebra una messa con vista sull’oceano. A fine febbraio, invece, si può assistere allo spettacolare pellegrinaggio in onore del dio Shiva verso il lago sacro Ganga-Talao (Grand Bassin).
E bastano pochi chilometri per ammirare la pagoda più antica dell’emisfero australe, la Kwan Tee Pagoda (1842), a Les Salines, o sentire la voce del muezzin dalla moschea Jummah nel cuore della capitale Port Louis, o, ancora, il profumo d’incenso, a Sainte Croix, nel tempio di Kaylasson.
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Mauritius tradizioni e cultura: l’impegno per la sostenibilità
E così, per magia, la vacanza a Mauritius diventa un viaggio nel valore dell’integrazione e del rispetto. “Non è la bellezza delle spiagge quello che travolge”, spiega Rico Paoletti, direttore generale del Shandrani Beachcomber.
“Qui la differenza è l’energia, l’allegria delle persone. L’ha notata? E la passione e l’impegno delle nuove generazioni per un futuro sostenibile”.
Numerose strutture sono state certificate dal Global Sustainability Tourism Council. Mauritius è abitata da 1,3 milioni di persone, con un Pil pro capite di oltre 10 mila dollari all’anno.
I visitatori stranieri sono la prima fonte di ricchezza per il governo, che vuole fare dell’isola un punto di riferimento internazionale per il turismo green e sostenibile. Non a caso sono stati favoriti gli investimenti dei grandi gruppi internazionali.
“Un’ottima opportunità per l’economia del Paese”, commenta la mauriziana Sheila Filippi, che in Italia guida da più di 30 anni la rappresentanza di Beachcomber Hotels, con ben otto resort.
“Dal 1952 siamo un modello per il turismo: per noi la sostenibilità non è un progetto, ma un obiettivo fondamentale per difendere e preservare la bellezza naturale della nostra isola”.
Mauritius tradizioni e cultura: la salvaguardia delle api
Visitando i resort si tocca con mano una regia comune: qui non si parla solo di responsabilità ambientale (52 impegni da rispettare), dal risparmio energetico all’utilizzo responsabile dell’acqua in bottiglie di vetro (con tanto di depuratori in loco), o di lotta allo spreco del cibo nei ristoranti, ma anche di progetti recenti, come la salvaguardia delle api.
Al Dinarobin Beachcomber, nella spettacolare penisola a sud-ovest di Le Morne, una delle località più belle dell’isola, patrimonio Unesco, incontriamo Etienne De Senneville, 45 anni, che dal 2017, con la sua piccola azienda familiare, segue il programma Bee Sustainable. E cura come figli i 45 alveari sparsi nelle strutture.
“Il miele qui sa di gioia, non trova?”, sorride insistendo per un assaggio. Il futuro racconta anche di responsabilità sociale verso la popolazione, con la Fondazione del gruppo Beachcomber che promuove progetti di formazione e lavoro.
Un futuro per giovani e donne
Georgette, Liseby, Oceanne, Florence sono donne incontrate al Beautiful LocalHands, il laboratorio che le trasforma in artigiane. E che dire degli occhioni della timidissima Adriana Labelle, 19 anni, inserita nel corso Atelier Ravanne per imparare a costruire e a suonare la ravanne?
“Insegno ai bambini”, ci racconta tutto orgoglioso Loic Auguste, 20 anni, “il più piccino ha otto anni”. Anche Nishtha Luchoo, 28 anni, Sustainability Coordinator di Beachcomber Resorts & Hotels, è orgogliosa di descrivere il progetto sulla conservazione del reef.
E ci fa incontrare la biologa marina Bhavna Rambhorose, 37 anni (ne dimostra dieci in meno). “Collaboriamo con il programma delle Nazioni Unite: le barriere coralline hanno sofferto il passaggio dell’uomo e, oggi, il cambiamento climatico. Mi piace coinvolgere i turisti quando fanno snorkeling perché si rendano conto del lavoro che facciamo”.
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Mauritius tradizioni e cultura: la cucina antica e nuova
Altrettanto determinato è una star dell’isola: Moorogun Coopen, 52 anni, ambasciatore della cucina mauriziana gourmet a livello mondiale. Lo incontriamo allo Shandrani Beachcomber. Innamorato della scienza (“ma studio le reazioni naturali, nessun additivo, zero coloranti”) e dell’arte culinaria, Coopen unisce tradizione e innovazione.
“Cerco produttori e pescatori, seguo la filiera del prodotto rigorosamente stagionale fino alle cucine. Il chilometro qui è meno di zero”. E, per rendere l’idea, si lascia fotografare con la canna da pesca, più che con un piatto finito in mano.
“Con la cottura sottovuoto a temperatura ottimale, possiamo ‘finire i piatti’ solo in base alle porzioni necessarie ed evitare di buttare via cibo”.
Coopen ci tiene a definire la cucina isolana un melting pot di influenze indiane, cinesi, africane. Cenando al ristorante Teak Elephant, le sue parole diventano un tour nei sensi, tra un satay di pollo in salsa di arachidi e frutti di mare grigliati con foglie di kaffir in salsa Choo Chee.
Il parco marino di Blue Bay
Lo Shandrani si trova su un’esclusiva penisola nel cuore del parco marino di Blue Bay, nel sud-est dell’isola: a soli sei chilometri dall’aeroporto, gode di una posizione invidiabile su tre insenature che adornano la riva della baia.
Basta una pedalata in mountain bike per raggiungere la spiaggia libera di La Cambuse e godere dell’orizzonte insieme a placide mucche adagiate sulla verdissima erba a pochi centimetri dal litorale.
Mauritius tradizioni e cultura: i raccoglitori di tè a Grand Bassin
Il nostro viaggio sul filo degli incontri ci porta anche tra i raccoglitori di tè, alla fabbrica di Bois Chéri, vicino a Grand Bassin. Fondata nel 1892, è il maggiore produttore di tè dell’isola.
Vale la pena di entrare nelle stanze dove vengono essiccate le foglie, anche solo per sentire il profumo, e poi sorseggiare una tazza di tè al gelsomino al ristorante, abbandonando lo sguardo in tonalità di verde mai viste.
Le ricette della nonna, quelle vere
Un’altra fabbrica, di zucchero, riserva una sorpresa. In realtà l’edificio coloniale del 1960 era l’ospedale dello stabilimento. Ora è il regno di Mario de l’Estrac, 71 anni, che invece di godersi la pensione, l’ha trasformato in un piccolo ristorante: il Karay Mario (karay, pentola), alla periferia di Mahebourg, una cittadina di pescatori sulla costa sud-orientale.
“Volevo tornare alla cucina della nonna: ho fatto ricerche anche negli archivi dei giornali, ho trovato questo edificio e l’ho ristrutturato con le mie mani (le pentole sono diventate lampade). Più del 60 per cento dei clienti sono locali che vogliono riassaporare i piatti dell’infanzia”.
Improbabile trovare posto la domenica. “Preparo solo tre o quattro piatti al giorno e il menu dipende da quello che compro al mercato”. E così sul tavolo può arrivare una zuppa di granchio con le mevey, tipico street food (frittelle di acqua e farina), o crocchette di lenticchie. Un pranzo che si conclude con il rhum al litchi, ovviamente fatto in casa.
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Mauritius tradizioni e cultura: il segà
Ed è Mario de l’Estrac che ci regala un indizio per capire un altro pezzo di autenticità dell’isola, il segà. Non quello che vedono turisti, ma l’incontro con un musicista che difende la storia vera di questa cultura: Denis Azor. Nella sua casa semplice (la camera da letto è anche sala di registrazione), scopriamo una storia incredibile. Gli occhi di Azor, classe 1967, carichi di un’intensità magica, brillano mentre racconta – in perfetto italiano – il suo percorso di resilienza e rinascita.
“Ho iniziato a suonare a cinque anni. Un rifugio dove le parole non arrivano. A 23 anni, grazie a un’amica di Mantova, ho lasciato la mia isola e sono venuto in Italia in vacanza. E, quasi per caso, ho creato Ala Li Là, un disco di segà, che mi ha aperto le porte del successo internazionale. Ho cantato al vostro Festivalbar, sono stato primo classifica in Francia, ma poi hanno registrato i diritti con un altro nome. Così non ho più visto un soldo”.
Azor ha dovuto affrontare sfide ben maggiori. “Sono in dialisi da più di vent’anni”, racconta con una serenità che sorprende. Ma non si è mai arreso: “La musica mi ha dato una ragione per lottare. Sono un artista, non mi importava della ricchezza. Ho fondato la mia etichetta e continuo a suonare. Il segà è come il blues, il reggae, racconta la tua vita, la tua storia”.
Con una risata calda, aggiunge: “Non dimenticare, la musica non ha confini o limiti. Può raggiungere chiunque, ovunque. E spero che le mie canzoni possano viaggiare lontano, forse anche più lontano di quanto io abbia mai fatto”.
Battezzare una pianta alle foreste d’ebano
Tra un giro in barca con nuotata in mezzo ai delfini e un trattamento nella Spa, si può riprendere l’auto e fare una sosta-scoperta a Chamarel, non per vedere le terre colorate (prese d’assalto dai turisti), ma per imbattersi in un ristorantino, Le Barbizon, dove incontrare Rico L’intelligent e sua moglie Marie Ange, che cucina soltanto con prodotti freschi e locali, tutti raccolti dal suo orto o da quelli dei suoi vicini.
“Siamo poveri, la nostra casa non è niente di speciale, il nostro cuore sì”, sorride Rico. Autentico, come questo prezioso indirizzo.
Se si possono evitare le terre colorate, non si può mancare il trekking all’Ebony Forest Reserve. Per vedere Mauritius ai tempi del dodo, questo è il luogo giusto. E due meravigliose sorprese ripagano della passeggiata tra alberi di ebano, uccelli esotici e gechi endemici: piantare e battezzare una piantina, con tanto di desiderio da nascondere in un foglietto sotto le radici, e godere di una vista, dall’alto sulla penisola di Le Morne, da togliere il respiro.
Mauritius tradizioni e cultura: il guru del sitar
Salendo lunga la costa nord-occidentale, verso Grand Baie, la meta prediletta per gli amanti della vita notturna, in un giardino tropicale di 35 ettari è nascosto il Trou Aux Biches, un altro super 5 stelle con suite e ville con piscine private. Al ristorante thai Blue Ginger, che ricorda una pagoda, il suono di un sitar avvolge la cena in un’atmosfera zen.
Note che conducono a Triolet, la città famosa per il più grande tempio induista dell’isola, il Maheswarnath Mandir. Qui vive quel suonatore di sitar, Sanjeev Jugnah, 49 anni, e si apre un altro squarcio inaspettato sull’isola. Il maestro, anzi il guru sitar, parla della sua arte con una modestia che cela la grandezza del suo spirito.
“Ho iniziato con una tastiera. Poi ho visto lo strumento e ho deciso che dovevo impararlo. Ero solo curioso”. Le sue mani suonano, ma riparano, mantengono e personalizzano i suoi amati sitar. E ascoltarlo è un balsamo per l’anima. “Sì, suono musica tradizionale… ma anche fusion e Bollywood. E compongo”.
I suoi studenti oggi sono come una famiglia, perché studiare con il maestro, è sentirsi in un gurukul in India. “Non è solo imparare uno strumento, ma bisogna aprire l’anima alla musica”. E l’incontro si trasforma in un concerto che sa di tramonti, di armonia.
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Il valore della diversità a Mauritius
Il giusto stato d’animo per lasciarsi andare nell’esclusivo rifugio tropicale Royal Palm, dove ritrovare sé stessi. Un’altra tappa per assaggiare raffinatissime cene dirette dallo chef William Girard e per perdersi nelle sfumature verde blu dell’Oceano. E ci sono nuove note che sorprendono: sono quelle dei Patyatann.
Sarasvati Mallac e Anthony Bouic ci conducono nella loro casa nella foresta, abitata da strumenti, cani trovatelli e gatti. Un piccolo angolo di serenità.
“Che cosa possiamo chiedere di più, vivendo qui?”. Ecco, nulla, pensiamo. Con questa natura… “No, non solo, è la diversità la cosa più preziosa che abbiamo”, sorride Sarasvati.
Mentre scende la sera, le loro parole e la loro musica si intrecciano in una tela che disegna l’anima di Mauritius: un’oasi di pace con una storia diversa, illuminata dai sorrisi dei mauriziani. No, patyatann, “non era previsto” un viaggio così, ma può accadere a chiunque sia disposto a guardarsi dentro e a vedere lontano.
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